L'ideologico entusiasmo per la scuola in presenza
Sulle pagine del Corriere della Sera, Galli Della Loggia ha scritto
una severa tirata contro la DAD, intitolando il suo articolo: L’incomprensibile
entusiasmo per la “DAD”. Ha inserito in queste righe tutte le banalità che
di solito chi non s’intende di scuola accumula in poche parole: la didattica
digitale non è scuola, esclude le fasce più povere e meridionali della
popolazione. Sì, “meridionali”, aggettivo abbinato a “povere”: accostare i due
concetti nasce dal pregiudizio secondo cui al Sud la civiltà ancora non arriva,
e quindi il Sud non è Italia, o forse dall’amara constatazione - e se è così,
il concetto andrebbe spiegato meglio - che le risorse economiche stanziate per
il Sud inspiegabilmente vengono dirottate al Nord. Ma non è questo il punto
focale della questione sollevata da Galli Della Loggia, sebbene meriti un
approfondimento storico-politico e una riflessione su un problema forse ancora
irrisolto che a suo tempo sollevò Giustino Fortunato in una lettera dl 1899 a
Pasquale Villari lo Stato profonde i suoi benefici finanziari nelle province
settentrionali in misura ben maggiore che nelle meridionali”. Non è il
caso, qui e ora, di sollevare una polemica degna più del neomeridionalismo di
Pino Aprile che non di un’analisi sulla scuola, vero oggetto dell’articolo di
Galli Della Loggia.
Chi nutrirebbe entusiasmo per la DAD? Gli studenti?
Certamente no: lamentano enormi difficoltà e spesso – magistralmente mobilitati
dai sostenitori della scuola in presenza- manifestano pubblicamente il loro
disagio per la didattica digitale. I docenti? Certamente no: sentirsi
trasformati in videoterminalisti è frustrante per chi ha sempre creduto nel
valore dell’educazione che passa attraverso la relazione. Le famiglie?
Certamente no: anzi, i genitori sono disperati perché con la DAD viene meno la
soluzione alle loro vite lavorative e perdono, così, il parcheggio sicuro e
protetto per i loro pargoli. La Ministra dell’Istruzione, Azzolina? Certamente
no: lo slogan che instacabilmente ripete è “riapriamo le scuole”, anche se poi
non fa nulla per renderle davvero sicure ed evitare che si trasformino in
incubatori di contagi, considerate le aule anguste e affollate, esattamente le
stesse della scuola precovid, in cui 25 e più alunni, l’insegnante e il docente
di sostegno respirano, saturando l’aria di droplet. E le sedie con le rotelle
non cambiano questa amara realtà. Nutrono entusiasmo per la DAD i politici in
generale? Certamente no: i politici di ogni governo non hanno mai avuto davvero
interesse per la scuola né in presenza né a distanza (ne parlano perché come si
fa a non dire un’ovvietà su un argomento di cui discettano anche estetiste,
parrucchiere e Galli Della Loggia?): in realtà i politici sono concentrati sul
MES, sui “ristori”, sui “bonus”.
Dunque, dov’è questo entusiasmo? E come fa ad essere
incomprensibile una cosa che non c’è?
Giocare con l’argomento fantoccio è una tecnica da “bravi”
retori: sposto l’attenzione su un argomento esagerandone la portata, travisandolo
o semplicemente inventandone completamente il contenuto, così mi risulta molto
più facile presentare la mia posizione come ragionevole. Questo tipo di
disonestà serve, però, a polverizzare un dibattito leale e costruttivo.
La DAD non piace a nessuno. Tuttavia a chi strumentalmente
fa finta di non accorgersene, glissando sulla gravità del problema, corre
l’obbligo di ricordare che è in atto una pandemia grave: malati e morti lo
testimoniano. Oppure bisogna cominciare a pensare che quanti proclamano la
validità della sola scuola in presenza vogliano negarne la portata, slittando
verso forme di malcelato negazionismo volto a eludere i reali e non risolti
(anzi mai seriamente affrontati) problemi dei contagi a scuola: mancanza di
tracciamenti e test, sovraffollamento delle aule, insufficienza di spazi
adeguati ad assicurare un distanziamento efficace, penuria di personale docente
e ata, inesistenza di sistemi di riciclo e sanificazione dell’aria. Gli arredi
scolastici che la ministra ha pensato di rinnovare considerandoli la vera
priorità in piena pandemia, erano l’unica cosa che andava bene, nonostante i
chewingum attaccati sotto i banchi da generazioni: non erano i banchi a
impedire la didattica. Non vale la pena, in questa sede, sollevare un
inquietante quesito: perché la ministra ha pensato a rinnovare gli arredi e non,
invece, a ristrutturare edifici che crollano?. Chi scrive ha lavorato in istituti
scolastici costruiti durante il fascismo con fondamenta “biscottate” e friabili
a causa di continui allagamenti, fogne che rigettano liquidi maleodoranti e
miasmi dai tubi dei gabinetti, cornicioni che cadono, intonaci che si staccano
e pavimenti rigonfi, finestre con vetri rotti o proprio senza vetri, postazioni
alla reception senza sorveglianza per mancanza di collaboratori scolastici e
conseguente ingresso arbitrario di varia umanità estranea alla scuola: in
questi casi gli arredi scolastici non sono la priorità.
Dunque l’argomento fantoccio dell’incomprensibile entusiasmo
per la “DAD”, detto anche “dell’ uomo di paglia” facilmente si disfa: la
DAD non piace proprio a nessuno, ma ora, nell’emergenza serve, è l’unico modo
per conciliare due diritti irrinunciabili, quello alla salute e quello
all’istruzione. E a nulla vale lamentare il fatto che non tutti sono raggiunti
dal digitale: certo il ministero poteva lavorare meglio e di più per potenziare
connessioni e reti, ma forse Galli della Loggia ignora che le scuole hanno
acquistato dispositivi, hotspot, schede sim per coloro che sono in difficoltà.
Il tecnoentusiasmo non ci riguarda: siamo un Paese ancora
profondamente gentiliano - con tutte le conseguenze che questa struttura di
base comporta - siamo diffidenti e
timorosi verso una tecnocrazia che rischia di impossessarsi della nostra vita.
Non sarà una virtù, ma è questa resistenza che ci rende capaci di vedere che
cosa davvero si nasconda dietro i panegirici che esaltano la “scuola in
presenza”: quanti celebrano retoricamente la riapertura delle scuole – di fatto
mai chiuse, perché anche a distanza la scuola non ha mai smesso per un solo
attimo di funzionare - non lo fanno certamente per motivi culturali, ma solo
per salvaguardare quel “capitale umano” che dalla presunta chiusura ritengono
possa essere intaccato, per tutelare le aziende e la fabbriche che perderebbero
lavoratori, impegnati, in quanto genitori, ad aiutare i loro piccoli nell’apprendimento
a distanza: si conferma così la deriva in atto da tempo, la subordinazione
della scuola alla dimensione economica neoliberistica che vuole tutti gli
esseri umani ridotti a merce, soggetti sfruttabili solo per la produzione.
Basta leggere i nomi dei firmatari dell’appello promosso dall’associazione
CONDORCET per salvare “il futuro dei nostri studenti”: in buona parte
economisti preoccupati non certo per la vita delle persone, ma da eventuali
perdite di “capitale umano” che da presupposti - ma tutti da dimostrare -
rallentamenti didattici potrebbero essere determinati. Il capitale umano: che
sia questo l’obiettivo di chi vuole la scuola in presenza lo dichiara apertis
verbis Ferruccio de Bortoli: “le proposte consistono nell’occuparci della
formazione del capitale umano”, le proposte utili, quelle che subordinano la
scuola al mercato del lavoro, in un momento storico in cui parlare di “lavoro”
è davvero “lunare”, “stellare”, per usare gli aggettivi che i nostri politici hanno
recentemente riscoperto.
Insomma, della scuola – in presenza o a distanza, poco
importa, al punto in cui siamo - davvero non importa a nessuno, Quello che
interessa, davvero, da anni ormai, è come rendere l’apprendimento un
investimento: e se il digitale e l’ingresso dei colossi informatici nella
realtà scolastica rispondono a questo scopo allora la didattica digitale – oggi
tanto demonizzata - diventa utile e va inglobata nella prassi scolastica
ordinaria. E anche quando si tornerà alla scuola in presenza, bisognerà integrarla
forzatamente – anche se nessuno ne sentirà il bisogno - nelle lezioni
quotidiane. Ecco che allora magicamente diventerà
un ottimo sistema didattico: “ritengo che la didattica digitale rappresenti
oggi un’occasione e una sfida per ripensare la scuola del futuro”
(Azzolina): insomma, il digitale in presenza, sì; il digitale a distanza
(quando cioè è davvero utile per arginare i contagi), no.
I docenti non sono tecnoentusiasti e loro malgrado hanno
imparato a usare il digitale, ma hanno spirito di adattamento, quello che ad
ogni essere vivente consente la sopravvivenza, quello che va insegnato ai
giovani: la DAD è un sistema emergenziale, e tale deve restare. E se il covid è
un’emergenza la DAD è una risposta temporanea e utile.
Chi vuole la scuola in presenza se ne infischia dei contagi,
degli anziani che gli studenti finiranno per infettare inevitabilmente; ma, si
sa, la struggle for life applicata al mercato, dei fragili non sa che farsene.
Il messaggio è “dei vecchi fregatene, non servono”, anche se vengono poi
ipocritamente tirati in ballo come primi destinatari per vaccini: allora sì gli
anziani diventano soggetti da tutelare, perché gravitano intorno a un
redditizio spazio economico costituito dalle RSA e ne sono la fonte primaria di
profitto.
I giovani, i nostri figli e i nostri nipoti non
riceveranno educazione, poiché per educare occorrono princìpi primi che siano
tali per tutti. (…) I “padroni dell’umanità” sono i grandi idioti, che non si
accorgono che anche il denaro muore. E così stanno accumulando le ossa della
ricchezza e sono avvolti dalla puzza di morte. Dalla morte che credono sia la vita.
(V. Andreoli, Homo stupidus stupidus.
L’agonia di una civiltà)
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