Al Sud vi dovete impegnare forte, è questo che ci vuole.

9  febbraio 2019
Le esternazioni del Ministro Bussetti lasciano senza fiato: ci vuole più impegno, più lavoro e sacrificio al Sud per recuperare il gap con il Nord, non più fondi. Vi dovete impegnare forte, è questo che ci vuole.
Lo stile dell’affermazione è chiaro: le scuole del Sud secondo Bussetti vanno esortate ad un maggiore impegno, ad un sacrificio, ad un lavoro più intensi. Per converso il Ministro lascia intendere che al Sud la scuola proprio non funziona, perché, evidentemente, chi opera negli istituti scolastici non si impegna abbastanza, non si sacrifica, non lavora. Insomma non è questione di fondi, spiega il titolare del Miur: le cose non vanno e la colpa è di chi non fa il proprio dovere. E – in base a quanto Bussetti ha detto – tutto il Sud non fa il proprio dovere, se deve recuperare il gap con il Nord, dove, invece, si deduce, la scuola non ha problemi. La conclusione è evidente: al Sud vi dovete impegnare forte, è questo che ci vuole. Quindi, al Sud, poche storie e lavorate!
Andrebbe ricordato, però, che un Ministro non può chiudere la questione in modo così liquidatorio. Un Ministro è direttamente responsabile dello stato in cui versa la scuola italiana come istituzione (e non se la passa troppo bene dopo tutte le riforme che l’hanno travolta!); un Ministro deve occuparsi, inoltre, delle singole scuole sparse su tutto il territorio peninsulare e delle particolari specificità di ognuna; un Ministro, perciò, ha il compito di interessarsi anche alle scuole del Sud, ha l’obbligo di conoscere bene le loro difficili, annose, gravi questioni, mai in effetti risolte, connesse ad emergenze sociali, economiche, culturali tipiche di un Mezzogiorno che purtroppo è sempre stato percepito come un’altra Italia rispetto al Nord, efficiente, progredito, asburgico. E, quindi,  tutto quello che non va al Sud, non è solo una faccenda del Sud, ma riguarda il Ministro in prima persona, rientra nel suo raggio d’azione e non è una questione che si risolve solo, semplicisticamente, con l’impegno e il sacrificio dei docenti.
Si potrebbe, infatti, replicare al Ministro che le condizioni di alcune scuole del Sud sono proibitive: edifici fatiscenti, soldi zero, mancanza di infrastrutture digitali lo dimostrano chiaramente e impediscono ogni azione costruttiva.
Si potrebbe far notare, inoltre, al Ministro che in molte aree dell’entroterra meridionale le scuole svolgono quasi la funzione di servizi sociali: lo Stato è assente, non c’è un efficace contrasto alla criminalità organizzata e neppure alla microcriminalità: spaccio e bullismo si combattono, sì, con l’istruzione, ma si arginano anche con la vicinanza concreta delle istituzioni e con l’esempio onorevole di tutti coloro che le rappresentano.
Si potrebbe ricordare, poi, al Ministro che le scuole del Sud si innestano su un territorio privo di piani di investimento, di riqualificazione delle aree urbane ed extraurbane che spesso versano in condizioni di abbandono; al Sud mancano e non sono incentivate in alcun modo, politiche di valorizzazione dei patrimoni artistici, culturali, paesaggistici e naturali, che anzi scelte economiche dissennate – come le intenzioni, più volte manifestate, di trivellare l’Adriatico tra il Gargano e le Tremiti, per esempio – rischiano di compromettere e che l’incuria per i beni storici – si pensi all’abazia di Kalena nell’area garganica – fa andare in rovina.
Si dovrebbe, infine, richiamare alla mente del Ministro il fatto che il Sud è da decenni afflitto da una strutturale mancanza di lavoro che alimenta rancore, senso di disfatta, rassegnazione, in masse di giovani costretti a lasciare le loro città. Si tratta di un humus pericoloso, nutrito da una strana e inspiegabile mescolanza di opposti sentimenti come indignazione e apatia che generano fuga e vuoto.
Ecco, bisognerebbe spiegare al Ministro che in questo substrato complesso e amaro, la scuola fa quel che può con il poco che ha.
Sorge tuttavia, un dubbio: denigrare un Mezzogiorno che non si impegnerebbe abbastanza, non è forse una strategia propedeutica a giustificare politiche federalistiche volte a regionalizzare settori significativi come l’istruzione, con il conseguente alleggerimento delle responsabilità e degli oneri del governo centrale nei confronti di tutta la “zavorra” del Sud?
Nel mondo della postverità in cui la narrazione è più vera del fatto e una cosa detta diventa certa per effetto della viralità sul web, il dado è tratto: se il Ministro dice che il Sud non lavora e non si impegna, vuol dire che il Sud non lavora e non si impegna. Punto. Il germe dell’antimeridionalismo è partito. Come quello del razzismo, come quello della xenofobia, come quello della necessaria e improrogabile difesa dei confini della Patria, come quello del capo forte, come quello dell’Io non mollo, come quello del Me ne frego.
Dunque, basta dirlo: il Sud è un peso. Diventa vero.
Alessandro Leogrande scriveva acutamente: i mali del Sud esistono, sono sotto i nostri occhi. Meno facile è capire che chi non vuole risolverli ha dei padri antichi. Sono quelli che spararono sui garibaldini e sui braccianti durante le occupazioni delle terre, sui sindacalisti e sui preti nelle mattanze di mafia. Sono i sottosegretari che flirtano con i boss. Sono quelli che traggono un enorme potere dal persistere del divario economico con il cuore dell’Europa, e che anche quando dicono di volerlo combattere, se ne tengono ben alla larga.
Noi docenti del Sud, nonostante tutto, continuiamo a lavorare e a impegnarci, perché abbiamo un orizzonte: i nostri giovani, il loro futuro. E una certezza ci guida, come diceva un nostro poeta del Sud, Rocco Scotellaro, lungo il perire dei tempi, l’alba è nuova, è nuova.

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